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Non è solo “un tema di italiano”. E’ in gioco la nostra coscienza civile

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
13 Giugno 2018
Covid // Manfredonia //

Manfredonia, 13 giugno 2018. Esame di terza media.”Addio al tema”, questo il titolo di diversi articoli. In verità la Riforma avvia una riflessione su una pratica che ha segnato la vita di tutti noi. Il tema: una traccia e poi la parola “svolgimento” o “saggio” che introduceva le riflessioni personali su un argomento di storia, un episodio di cronaca, un autore… Il tema era un angolo dove ci si poteva esprimere in prima persona, una forma di conoscenza di sé, e come tale ha svolto una funzione positiva. Ora è necessario rimodularlo. La complessità della vita sociale e culturale richiede varie competenze, la scrittura deve articolarsi in modi differenti ed ha bisogno di interlocutori diversi. Prima l’interlocutore era solo l’insegnante. Lui era il “lettore obbligato”. Era lui che diceva ciò che gli piaceva o meno. Quante discussioni nascevano quando venivano corrette “idee troppo personali” o quando diceva che si era usciti “fuori tema”. In questa riforma chi scrive si rivolge agli amici, ai coetanei di un’altra scuola o al pubblico dei lettori di un giornale. In questo modo non deve compiacere l’insegnante, ma deve catturare l’attenzione di lettori indicati volta per volta nella traccia. Non è un fatto di poco conto, perché in questo modo l’alunno deve imparare a usare alcuni stratagemmi per convincere, attirare l’attenzione, deve allenarsi ad argomentare per sostenere una tesi. Cambia lo svolgimento e cambia anche la “correzione”.
Insomma il tema resta: un modo per potenziare e accertare la padronanza della lingua e la correttezza espositiva. Ci sono però dei paletti che possono aiutare la creatività a muoversi con maggior chiarezza. C’è, infatti, ancora la tendenza a scambiare lo scrivere bene con un certo stile sostenuto, ricercato. Si pensa che il periodo più è lungo o la sintassi più è elaborata, più si è bravi. Invece la bella prosa è semplice, lineare, è attenta a dire le cose con sobrietà e misura.
Quando parliamo o scriviamo noi costruiamo narrazioni, cioè “raccontiamo” (un episodio significativo, un incontro particolare…) e “descriviamo” (il quartiere, il porto, l’asta del pesce, la nuova basilica metallica di Siponto). Oppure costruiamo argomentazioni per sostenere una tesi o confutarla. E in quest’ultimo caso si può pure elaborare un dialogo: due ragazzi che esprimono posizioni diverse sullo smartphone a scuola, gli immigrati che arrivano, l’amicizia, l’amore…
Poi vi è una terza modalità importante: modificare un testo, riscrivere in prosa una poesia, fare il riassunto. Il riassunto: considerato poco ed invece è un esercizio straordinario. Per fare un buon riassunto bisogna comprendere un testo, conservare alcune idee e parole ed escluderne altre. Provate a scrivere la trama di un film, di un romanzo! E il riassunto di un testo scientifico, anche se di natura divulgativa? Il riassunto può essere sempre più stringente, fino a poche righe. In questi giorni una mia amica mi ha inviato le recensioni dei film presentati al festival di Cannes (usciti in italiano e francese sul suo blog: Le Ciné Théatre): in meno di venti righe c’è tutto: notizie sul film, la vicenda, i temi, un giudizio. Di esemplare chiarezza e linearità.
Oggi c’è un nuovo analfabetismo: gli adulti non sanno scrivere o lo fanno nella maniera “irriflessiva” che viene dai social, vi è una diffusa difficoltà a leggere un testo strutturato (ancor più quando all’interno ci sono grafici e dati). Un problema che investe la democrazia, mette in gioco “la nostra coscienza civile, la nostra consapevolezza di elettori, la capacità cioè di potersi formare ed esprimere un pensiero critico. Non basterà cambiare le prove di italiano per risolverlo, ma almeno è un passo” (Serianni)
A cura di Paolo Cascavilla,
fonte futuriparalleli.it

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