Caro Prof Gravina,
ve ne siete andato zitto zitto, voi che amavate la parola in tutte le sue sfaccettature. Al liceo non ebbi la fortuna di avervi come insegnante ma, durante qualche ora di supplenza, potei constatare che quanto dicevano su di voi era vero: estremamente colto, dall’eloquio raffinato e seducente, animato da una forte passione per quanto insegnavate, ci prendevate per mano e ci conducevate a tu per tu con i grandi classici della letteratura, che fosse greca, latina, italiana del Rinascimento o contemporanea; citavate a memoria lunghi passi della Divina Commedia, interi carmi di Catullo e odi di Orazio, passando da un trimetro giambico a un distico asclepiadeo con una natutalezza disarmante che alimentava il mito. Nei corridoi, infatti, si diceva che in realtà voi foste un antico greco che, ad un certo punto della vita, aveva trovato l’elisir dell’immortalità. Solo così ci si poteva spiegare come facevate a conoscere quegli aneddoti gustosissimi, quelle piccanti curiosità sulla vita privata di poeti e scrittori, delle cui opere svelavate aspetti reconditi sfuggiti persino ai critici, proprio come si fosse trattato di amici vostri: in realtà lo erano stati? Li avevate frequentati assiduamente nel corso dei secoli? Ad avvalorare tale ipotesi qualcuno vociferava che a casa vostra aveste eretto un tempietto a Giove Invitto…
Caro, caro Prof Gravina,
ve ne siete andato senza dire una parola, voi che amavate i lieti conversari e le argute disquisizioni con cui riuscivamo a colmare ore e ore, e non mi sembrava vero di essere lì con voi, seduta al tavolino di un bar, a bearmi del vostro parlare pacato e profondo. E ci avvolgevate con le vostre passioni, la classicità in primis, e poi la musica, il cinema, la filosofia, l’arte, le bionde, ma solo in fatto di donne perché, quanto alle bevande, preferivate di gran lunga il vino. Tra un calice di Aglianico e uno di Primitivo, ci confidavate le vostre debolezze, le paure più profonde, i piccoli peccatucci, le battaglie giovanili, le avventure amorose, i ricordi passati e i progetti per il futuro. Voi parlavate e noi provavamo le vertigini e l’estasi di trovarci di fronte a uno spirito magno. Voi parlavate e a noi sembrava di sfogliare le pagine di un libro avvincente e avventuroso, che rivelava un uomo nella sua interezza e integrità, onesto e franco con se stesso e con gli altri, anche se in realtà non mi diceste subito che frequentavate altri gruppi di ex-allievi. Vi confesso che all’inizio ci rimasi un po’ male, ero gelosa di quel privilegio, ma poi mi acquietai pensando che voi, il Prof Gravina, eravate un patrimonio dell’umanità, e non avevo alcun diritto di arrogarmi privilegi di sorta… E quando eravamo noi a parlare, vi accendevate di curiosità e interesse, come un bambino di fronte a una nuova scoperta, animato da uno stupore fanciullesco mai sopito. E le ore volavano tra confidenze, lazzi e citazioni, dandovi sempre e rigorosamente del ‘voi’: «Il ‘lei’ è un retaggio della dominazione spagnola» ci avevate spiegato una volta, «mentre il ‘voi’ è più schiettamente italico. Se voi aveste dato del ‘lei’ a Dante, sarebbe senz’altro inorridito chiosando “Il lei si dà alle donne!”».
Caro, caro, caro Prof Gravina,
ve ne siete andato alla chetichella, voi che ovunque andassimo non passavate mai inosservato con il vostro portamento elegante, l’incedere quasi solenne e lo sguardo fiero sul viso dai nobili lineamenti. Ed è così che vi immaginiamo ora, che passeggiate, distinto e longilineo, lungo i Campi Elisi, ubi quiescunt heroes, intrattenendo da incomparabile affabulatore folte schiere di beati, a cui insegnerete l’uso del ‘voi’, e a noi, quaggiù, mancherete oltre ogni dire…
Video, testo a cura di Teresa La Scala,
09 giugno 2018
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PROF "Caro Prof Gravina, ve ne siete andato senza dire una parola" (VD)
