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Il Tiepolo ed il Mattia Preti

AUTORE:
Ferruccio Gemmellaro
PUBBLICATO IL:
22 Maggio 2018
Covid // Italia //

Giambattista Tiepolo nasce a Venezia nel 1696 e muore a Madrid nel 1770. È, per eccellenza, il maestro nell’affresco in ogni tempo. Nella sua opera è verosimile l’influsso del manierista Paolo Veronese (Verona 1528 / Venezia 1588), questi tra i maggiori esponenti del rinascimento veneziano, e del tenebroso Giovanni Battista Piazzetta (Venezia 1682-1754).
Suoi collaboratori sono il figlio Giandomenico (Venezia 1727-1804) e Lorenzo (1736-1776), benché solo il primo sceglie la pittura quale ragione di vita e ci lascia opere del tutto personali, che si distaccano cioè dalla scuola paterna. Emerge nei quadri di genere, talvolta con spirito umoristico e satirico; un po’ meno felicemente in opere di argomento sacro, si esprime con cromatismo più tenue rispetto a Giambattista.
Mattia Preti, il Cavalier Calabrese, nasce a Taverna di Catanzaro il 1603 e muore a Malta (La Valletta) nel 1699 a una età più venerabile di quella del Tiepolo, entrambi ben oltre la media epocale; una conferma agli studi antropologici che vorrebbero l’artista individuo dal cerebrale (spirito) mantenuto sempre in fermento, per cui il corpo (la teca) ne avrebbe vantaggi di longevità.
Pittore che subisce l’influsso caravaggesco prima di lasciarsi avvincere dall’espressionismo veneto.
Per la sua geniale abilità decorativa e per l’efficacia dei suoi chiaroscuri, è considerato tra i maggiori artisti del tempo.
Nel Museo di Capodimonte, di Mattia Preti, è esposto il bozzetto “Per la peste a Napoli”. V’è mostrata una donna supina a seno scoperto, col braccio sinistro in primo piano, sorpreso dalla morte a mo’ di crocifissione; in grembo a bocconi, immobilizzato dal dolore, c’è il proprio figliolo, lattante, spentosi pochi attimi prima di raggiungere il capezzolo.
Al Metropolitan di New York il particolare in basso a destra nel quadro del Tiepolo “Santa Tecla libera Este dalla pestilenza” (1758), ritorna l’immagine di una madre supina, uccisa dalla peste, il cui figlioletto è colto arrampicato sul grembo nell’atto di appropriarsi del capezzolo.
Mentre nella scenografia del Tiepolo è di rilievo la presumibile figura del padre in atteggiamento di disperazione, in quella del Preti è posto in evidenza il volto del monatto nell’espressione di malcelato pietismo, quasi di stupore per quello che ormai non dovrebbe più provare a quella vista.
Quando Mattia Preti scompare, il Tiepolo ha appena tre anni, quindi non può averlo incontrato; ma ragionevolmente ne può avere esaminato l’opera.
Tra i poeti, in senso lato, quale esempio, la metafora “fili d’oro”, per indicare capelli biondi, è utilizzata con frequenza talvolta troppo ripetitiva ma nessuno oserebbe accusare i secondi di aver plagiato i primi; comunque sia, va a scapito della spontaneità artistica dell’autore.
La metafora pittorica della peste che porta indirettamente il lattante alla morte, infierendo sulla madre, è da interpretare come “la crudeltà che colpisce il mondo degli adulti e ricade sulle
generazioni future”.
Una figura retorica sempre valida, di intensa attualità, ma, come sembra, niente affatto originale già ai tempi del Tiepolo.
(A cura di Ferruccio Gemmellaro, storico critico 22 maggio 2018)

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