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Un’annosa questione: la contesa territoriale tra Manfredonia e Monte Sant’Angelo (III)

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
21 Maggio 2018
Manfredonia // Monte S. Angelo //

Monte Sant’Angelo, 21 maggio 2018. In capo a pochi mesi, il 23 dicembre 1811, Zurlo emanerà la 1ª ordinanza sul demanio ex feudale di Monte Sant’Angelo. E proprio riguardo all’area controversa c’è un punto che merita di essere sottolineato: «Considerato che l’estendere una linea sino al Vallone di Varcara, come propone Montesantangelo, sia inutile ugualmente per Manfredonia, perché sebbene abbracci una estensione di carra 53 e versure 5 che fa parte di Casiglia, pure dal Comune di Manfredonia si disse questo spazio tutto occupato dai particolari nel verbale suddetto [1° giugno], ed in contradizione di Montesantangelo che niente vi oppose. Considerato che…». La formulazione non dà adito alle interpretazioni: quell’area della piana di Macchia Manfredonia non la voleva, e poi diremo perché. Sta di fatto che da allora si venne nella determinazione di individuare un’altra zona, che, come vedremo, sarà Cavolecchia. Anche perché espressamente chiesta da Manfredonia, a cui faceva gola una zona altamente boscata.
Su questo punto l’ordinanza del 23 dicembre rappresenta decisamente un punto di svolta. Qui va anche ricordato che il 30 ottobre, vale a dire un paio di mesi prima dell’uscita dell’ordinanza, a Zurlo era arrivato il placet dal presidente della Commissione feudale, Davide Winspeare: «Vi ho scritto per Manfredonia anche in seguito agl’Impulsi del Presidente della Provincia. Del resto da ciò che vi siete compiaciuto dirmi col vostro foglio del 14 corrente, veggo che è superfluo che voi m’interpelliate più, perché l’idea che voi avete fatto della cosa, è la stessa di quella ch’avevo io formato». È bene ricordare che fino al 14 di settembre di quell’anno il Winspeare non aveva ancora ricevuto informazioni dallo Zurlo (lo si apprende da una sua missiva allo stesso presidente).
Converrà anche ricordare che in quel torno di tempo il Comune di Manfredonia aveva pubblicato una «Memoria contra quelli di Monte S.Angelo e Regio Demanio», con la quale aveva fatto conoscere il suo punto di vista sulla divisione del demanio, che «dev’essere sempre uniforme alle leggi di sopra enunciate, con la conseguenza che non si deve stare alle nude parole della norma data dalla Commissione Feudale, ma allo spirito di queste». Della sentenza del 10 febbraio esso contestava la parte che limitava il contingente da assegnargli a «quel poco di territorio solo ch’è circoscritto dalla linea di Porpora e Pollio». Come si vede, la Memoria ruotava attorno al quantum, vale a dire a «qual sia il contingente che spetta a Manfredonia». Che, stando alle Istruzioni del 10 marzo 1810, dalla stessa richiamate, avrebbe dovuto essere «tassativamente non meno della metà dell’intiero demanio ex Feudale di Monte S.Angelo, e anche li due terzi o tre quarti, ove le circostanze l’accompagnano». E questo perché Manfredonia riteneva che le spettassero gli usi civici della 2ª classe. Erroneamente, visto che nella sentenza della Commissione feudale si parla di usi civici «pieni e comodi», che sono quelli di 1ª classe. Avremo modo di parlarne più oltre. Qui si fa notare che, così facendo, cioè seguendo le indicazioni sopra esposte, per gli altri non sarebbe rimasto più niente. L’altra richiesta avanzata da Manfredonia riguardava l’assegnazione di «una parte di Bosco», che le sarebbe spettata «per legge».
Il 7 dicembre 1810, poi, lo stesso sindaco Giordani aveva scritto a Zurlo, per metterlo a conoscenza che i suoi provvedimenti erano ritenuti di grande importanza per la città, quasi una questione di vita o di morte: «Solo Le ricordo che questa Comune è la più misera, la più infelice di tutte le altre Comuni del Regno, perché priva di ogni risorsa territoriale, e spera la sua rigenerazione dalla di Lei giustizia».
Con l’ordinanza del 23 dicembre 1811 furono fissati dei punti fermi, a cominciare dagli assegnatari, che sono quattro: Regio Demanio, Tavoliere delle Puglie, Comuni di Monte Sant’Angelo e di Manfredonia. Il Regio Demanio rappresentava i diritti che sarebbero spettati al barone, il Tavoliere aveva il diritto del riposo sull’intero agro ex feudale, Monte Sant’Angelo e Manfredonia i diritti di uso civico.
Prima di passare all’attribuzione delle quote occorreva risolvere le questioni aperte con il barone di Cagnano Varano e il Comune di San Giovanni Rotondo, che si erano rivolti a Zurlo per chiedere lo scioglimento della promiscuità su dei territori di confine con l’ex feudo di Monte Sant’Angelo. Questi vi provvide con i primi tre punti dell’ordinanza. Nel caso di Cagnano Varano procedette ad una nuova determinazione dei confini sulla contrada detta Compromesso, nel caso di San Giovanni Rotondo allo scioglimento dei diritti promiscui ancora in essere e alla ridefinizione della linea di confine tra i due Comuni.
Tornando all’assegnazione delle quote, al Tavoliere furono assegnate «due none» dell’intero agro, a Monte Sant’Angelo «due terzi», a Manfredonia «soli due settimi della metà».
Naturalmente, per ognuna di queste percentuali vi fu una spiegazione. Riguardo alle Locazioni , fu decisiva, oltre alla visura dei «libri delle fide», la considerazione che gli usi civici goduti dai pastori del Tavoliere erano di 1ª classe e i pascoli della zona fruibili per non più di nove mesi all’anno. Un calcolo diverso fu fatto per i due Comuni. Per essi fu preso in considerazione, oltre alla classe degli usi civici, il numero degli abitanti residenti e degli animali in loro possesso. Il ragionamento seguito dal commissario, nell’attribuzione delle quote parti, fu molto semplice: se gli usi civici di entrambi i Comuni sull’ex feudo fossero stati solo essenziali (1ª classe), considerato il numero totale degli abitanti e degli animali, che ascendevano rispettivamente a 14.600 e a 26.000, il valore complessivo della quota non sarebbe potuto essere minore della metà. Ora, considerato che la popolazione di Monte Sant’Angelo era di 10.496 abitanti e quella di Manfredonia di 4.104, mentre il numero di capi di bestiame rispettivamente di 18.520 e 7.480, la proporzione, riferita sempre alla metà dell’agro, sarebbe dovuta essere di due (per Manfredonia) a cinque (per Monte Sant’Angelo). Ma, dal momento che a Monte Sant’Angelo furono riconosciuti anche gli usi civici utili e dominicali (2ª e 3ª classe), che meritavano una quota maggiore, il commissario ripartitore stimò che, come compenso dei diritti civici dei due Comuni, «l’accantonamento su gli ex Feudali di Montesantangelo non possa essere minore di due terzi dello intero agro boscoso e libero in valore, sul quale debba essere assegnato a Manfredonia il suo contingente per soli due settimi sulla metà». Va osservato che qui si parla di «agro boscoso e libero», perché le terre a coltura agraria e quelle private non potevano entrare nella divisione, e quindi nel calcolo.
Prima di dare esecuzione al provvedimento, Zurlo pensò di risolvere la situazione di Casiglia, che presentava delle criticità: «Fra gli altri incarichi che devo disimpegnare in Montesantangelo ve n’è uno specialmente che riguarda la Casiglia che il Comune chiama Difesa e che i Locati credono un fondo serviente al loro pascolo». E difatti per contestare le pretese di questi, che venivano da lontano, in quel lasso di tempo l’Università fu costretta a presentare una nuova Memoria, con la quale ribadiva la proprietà piena sulla stessa, affermata, come si è visto sopra, anche in tempi recenti. Il commissario Zurlo, dopo aver «esaminati attentamente tutti li titoli riportati dal marchese Vivenzio, da’ quali chiaramente apparisce che la Casiglia sia stata sempre una proprietà comunale, e che la sola usurpazione e prepotenza dell’ex Barone abbia potuto pel corso di un secolo e mezzo ed anche più metterla in contrasto, come ex feudale», nell’estate del 1811 elaborò un progetto di ordinanza da sottoporre al Ministero dell’Interno per la sanzione sovrana. Il progetto, che in buona sostanza ricalcava la decisione del Vivenzio, ottenne l’approvazione del re il 31 ottobre di quell’anno e fu trasfuso, leggermente modificato, nell’ordinanza del 7 giugno 1813, che al primo punto recita testualmente:
Abbiamo pronunziato ed ordinato quanto segue: La contrada denominata Casiglia con effetto è dichiarata comunale di Montesantangelo, rimanendo confirmata in tutte le sue parti ed espressioni la preinserta decisione del marchese Vivenzio.
Inoltre (ed è il secondo punto dell’ordinanza) i locati del Tavoliere – nel frattempo erano divenuti censuari – furono condannati a pagare 3.300 ducati per aver pascolato in quella contrada dal 1802 fino a quella data. Il commissario Zurlo tracciò anche la «linea de’ confini» di Casiglia, che si rivelerà poi decisiva per gli sviluppi futuri della confinazione con il Comune di Manfredonia. I confini venivano fissati in termini molto precisi, che non lasciavano adito ad alcun margine di interpretazione: «Vallone di Varcara, Vallone di Scannamogliera, Vallone di Santangelo, Vallone di Carbonara, Grotta delle Cozzolle, Vallone della Mollina e Vallone di Pulsano sino al mare Adriatico secondo acqua corre». Si notino le ultime due località, confinanti con Manfredonia.
L’ordinanza Zurlo rigettò, dunque, qualsiasi diritto di condominio su Casiglia da parte dei censuari del Tavoliere, restituendo al Comune di Monte Sant’Angelo il dominio pieno sulla stessa. Il possesso avvenne, così come richiesto dal punto 4° dell’ordinanza del 7 giugno, per decisione del giudice di Pace nel dicembre del 1813, cosa che avvenne anche per la difesa Vota, posta al suo fianco.
Neanche nell’ordinanza del 7 giugno si parla mai di Manfredonia. Vien da pensare che una questione Macchia semplicemente non esistesse, visto che non c’è traccia negli atti che siamo venuti analizzando. E pensare che in quel momento storico si stava decidendo il futuro dell’ex feudo, dal punto di vista della proprietà, nel senso da noi inteso oggi. È da ritenere, allora, che Manfredonia si sentisse in qualche modo appagata, almeno nei suoi desiderata fondamentali.
Neanche per idea. Infatti, da un esposto a Zurlo del sindaco di Monte Sant’Angelo, Pietro De Cocco, e del «deputato alle liti», Filippo d’Errico, che porta la data del 28 luglio 1813, si apprende che «questa linea [di Zurlo] è stata violata nel lato detto Montagna, con verbale redatto dal Vostro Incaricato [Francesco Saverio Benvenuto] ed accettato dalle sole parti favorite».
La storia della lite relativa alla piana di Macchia si arricchirà, come presto vedremo, di nuovi capitoli.
L’autore
Michele Tranasi è autore di importanti ricerche sulla proprietà terriera di questi ultimi due secoli. Particolare rilievo hanno nella storiografia contemporanea i suoi lavori sul demanio e sul colonato di Monte Sant’Angelo, in provincia di Capitanata, e le ampie indagini su vari aspetti della storia di quel paese e della zona.
Saggista e polemista, collabora a diversi giornali e riviste: l’Avvenire, La Gazzetta del Mezzogiorno, l’Attacco, il Gargano Nuovo, ecc.
E’ iscritto al n. 32 dell’Elenco degli istruttori demaniali della Regione Puglia.
È socio della Sociètà di Storia Patria per la Puglia.
Pubblicazioni
1) Dalla Proprietà Comune alla Proprietà Privata – Monte Sant’Angelo 1806-1860, Leone Editrice – Foggia, 1994.
2) La Nascita della Proprietà Privata – Monte Sant’Angelo 1861-2001, Leone Editrice – Foggia, 2002.
3) La Comune di Parigi e la Scuola, Libo Grafica – Mattinata, 2012.
4) Lettura di Uomo e Superuomo, Libo Grafica – Mattinata, 2012.
5) Monte Sant’Angelo negli ultimi due secoli, Bastogi Libri – Roma, 2013.
6) Dal cardinale Fabrizio Ruffo a Francesco Paolo Troiano, Ed. Giuseppe Laterza – Bari 2016.

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