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Un’annosa questione: la contesa territoriale tra Manfredonia e Monte Sant’Angelo

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
14 Maggio 2018
Manfredonia // Ricordi di storia //

Manfredonia, 14 maggio 2018. Le contese tra Comuni, feudatari ed enti ecclesiastici per l’affermazione del dominio sui territori costituiscono un abbondante materiale di ricerca per gli studiosi che si occupano di problemi di storia. Non fanno eccezione quelle afferenti il territorio di Monte Sant’Angelo, come viene attestato dalla documentazione che ci hanno lasciato, che avremo modo di analizzare, anche se solo di sfuggita, nel corso della nostra indagine. In essa focalizzeremo la controversia che ha visto contrapposti il Comune di Manfredonia, da una parte, il feudatario e il Comune di Monte Sant’Angelo, dall’altra, in ordine all’agro feudale, che fu poi diviso in forza dei provvedimenti attuativi delle leggi dell’eversione della feudalità varate nel Regno di Napoli nel Decennio francese, e alla piana di Macchia compresa tra i compresa tra i torrenti Pulsano e Varcaro.
Le due questioni, diversissime tra loro quanto alla loro natura – feudale la prima, universale (comunale) la seconda – sono accomunate dall’essere passate attraverso le vicende di molte liti, che trascendevano spesso in conflitti aperti e violenze, per finire poi in tribunale. Le differenzia il fatto che la questione riguardo alla titolarità della piana si trascinerà, per volontà di Manfredonia, in termini polemici anche accesi, dopo la chiusura delle operazioni di divisione dei demani, per arrivare fino alla prima metà del Novecento. Le due dispute correvano parallele, ma, per ovvie ragioni, spesso s’incrociavano.
La controversia tra il barone di Monte Sant’Angelo e l’Università (Comune) di Manfredonia ebbe origine nel XIV secolo. Quest’ultima riteneva che Monte Sant’Angelo fosse un suo antico casale – come nata da una sua costola –, dopo la scomparsa di Siponto, e non riconosceva la Platea del Berlingieri, l’Inventario di tutti i beni fondiari di Monte Sant’Angelo, che aveva tracciato i confini tra i due Comuni nel lontano 1304. Al netto di tutto questo, essa poteva vantare sul feudo sito al suo confine diritti basati su titoli molto vecchi. Le fonti più antiche, le «Carte» che confermavano il godimento degli usi civici sull’«intiera estensione di Montegargano» da parte di Manfredonia, risalivano al 1320 e 1329 e furono emesse dall’«autorità Sovrana». Ad esse fece seguito lo Strumento con il quale, nel 1479, il feudatario Giovanni Castriota riconosceva non solo «l’esenzione della fida che vi [sul territorio] godevano i Manfredoniani», vale a dire l’esercizio del diritto di «Communità» nel medesimo, ma addirittura apriva a loro vantaggio le difese (chiusure) che aveva appena formate. Però, nel 1559 Manfredonia fu obbligata a comprare per 2.200 ducati da Ferdinando e Luisa di Sangro, affittuari del feudo, «la sua acquiescenza allo Strumento di Castriota».
Ne nacque una controversia, con inizio nel 1577 presso il sacro regio Consiglio, al quale l’Università di Manfredonia si rivolse per rivendicare i suoi antichi diritti. La decisione arrivò il 26 aprile 1619 e le fu sfavorevole. Ma non per questo la lite terminò, anzi si rinfocolò, allorché Manfredonia intravide la possibilità di poter contare sull’alleanza con la Mensa arcivescovile, da tempo in causa con il feudatario per questioni analoghe. La lite giunse a termine nel 1774, dopo una seconda sentenza favorevole al barone.
Da allora l’Università di Manfredonia, pur ritenendosi insoddisfatta, non pensò più di risolvere la questione con i tribunali, per viam iuris.
Il documento più illuminante del clima di terrore che si respirava in città negli anni a cavallo del Seicento e Settecento è la registrazione di un passo di una lettera dell’arcivescovo Annibale de Ginnasiis, dove è riportato che il feudatario di Monte Sant’Angelo «va occasionando di maltrattare i cittadini et abitanti di questa città [Manfredonia], tenendoli miseramente oppressi e timorati che non possono vivere nonché respirare».
L’arcivescovo non interveniva nell’interesse di quelle povere anime, ma in quello della Curia, che rivendicava per sé diritti di possesso a vario titolo su vaste aree del tenimento di Monte Sant’Angelo, contro il barone di turno e la stessa Università, con i quali è stata sempre in conflitto, anche successivamente. All’inizio del secolo scorso una settantina di ettari, siti nelle contrade Tor di Lupo, Mattinatella, Mergoli e Vignanotica, erano ritenuti «non si sa a quale titolo di spettanza della Mensa Arcivescovile di Manfredonia» (il virgolettato è preso da una relazione congiunta dell’Ispettorato forestale e dell’Ufficio tecnico di Finanza di Foggia del 20 giugno 1911), che percepiva regolarmente i relativi canoni. Grazie alle affrancazioni degli anni passati, anche recentissimi, oggi ne sono rimasti una quindicina di ettari.
Di fragile consistenza appare, invece, la rivendicazione della piana di Macchia da parte di Manfredonia, almeno a stare alle decisioni che verranno adottate successivamente. Come che sia, affinché la vicenda riesca più agevolmente comprensibile, è opportuno qualche cenno sulla contrada dove la piana è collocata, chiamata Casiglia.
Nei secoli passati anch’essa è stata interessata da liti infinite con alterne vicende. Ad aprire le ostilità furono, nel XVII secolo, le Locazioni della Dogana di Foggia – ne erano interessate ben 6 su 23 – con l’intento di conoscere da quel Tribunale se «la Contrada denominata Casiglia fosse Difesa dell’Università, o pure un Demanio aperto della medesima Università». Le Locazioni erano, ovviamente, per la seconda opzione, asserendo di avervi il «diritto di riposo», ossia la facoltà di sosta nei mesi di ottobre e novembre, prima di entrare nei pascoli del Tavoliere, diritto che già avevano sul feudo, a seguito di accordi con i Grimaldi risalenti al 1611 e 1778. Nello stesso periodo ebbe inizio anche la controversia dell’Università di Monte Sant’Angelo con i Grimaldi, riguardante sempre le stesse questioni: pascoli, tagli di alberi, raccolta della manna, uso delle cisterne, diritti di colonìa, ecc.).
Le diverse liti necessitarono di varie inchieste (Sapio, Marciano, ecc.) e svariati giudizi (Sacro Regio Consiglio, Regia Camera della Sommaria, ecc.).
Nella consultazione degli atti di queste lunghe liti giudiziarie non sono stati riscontrati grossi problemi che riguardassero specificamente Manfredonia. Ciò non significa che problemi non esistessero o che non si facessero sentire – gli sconfinamenti dei pastori di Manfredonia erano all’ordine del giorno, erano una pratica quotidiana (Casiglia era una via di passaggio obbligata verso il feudo) e lo stesso le lamentele reciproche con l’Università di Monte Sant’Angelo –; significa semplicemente che essi possono essere tranquillamente derubricati a scaramucce all’interno delle due contese.
Sia come sia, nel Catasto Onciario predisposto nel 1753, in attuazione delle disposizioni emanate da Carlo III di Borbone nel 1741, la piana di Macchia venne assegnata alla città di Monte Sant’Angelo. Anche se in contestazione con Manfredonia.
Per dirimere la lite sorta a proposito di Casiglia tra la principessa di Gerace, Maria Antonia Grimaldi, l’ultima feudataria di Monte Sant’Angelo, e l’Università di Monte sant’Angelo, il sovrano diede un incarico ad hoc al marchese Vivenzio, luogotenente della Regia Camera della Sommaria. Questi il 27 maggio 1801 emanò a Manfredonia un apposito decreto, con il quale stabilì quanto segue:
– Si è appuntato, deciso e giudicato che l’Università sia mantenuta e quatenus opus reintegrata nel possesso della Difesa o contrada denominata Casiglia, secondo la confinazione fatta dal Tavolario Sapio, una coi frutti da liquidarsi intese le parti.
Va osservato che anche la perizia dell’agrimensore Sapio, risalente ai primi del XVII secolo, aveva ritenuto Casiglia «di pertinenza dell’Università».
La decisione del Vivenzio non ricevette un’accoglienza entusiastica da parte della principessa, che produsse «ricorso per nullità». Non mandarono giù la decisione neanche i locati, che, per mezzo di una Memoria scritta, si lagnarono «per non essere loro stati sentiti nel giudizio». Così il decreto, stante i ricorsi, non ebbe esecuzione. In capo a pochi mesi l’Università di Monte Sant’Angelo, stanca dei soprusi e delle pretese dei Grimaldi, acquistò il feudo, mettendo fine ad ogni controversia.
Nel decreto Vivenzio del 27 maggio, che tra l’altro ripercorre le vicissitudini giudiziarie di Casiglia a partire dal XIV secolo, di Manfredonia non si parla; neanche di sfuggita. A riprova del fatto che l’appartenenza di quell’area al tenimento di Monte Sant’Angelo era fuori discussione, un fatto acquisito, almeno a giudizio del luogotenente della Sommaria. Qui importa osservare anche che Casiglia era riportata per 10.981 tomoli (versure 2.745, pari a ha 3.388) già nella inchiesta del Sapio, il che la dice lunga sul fatto che in quella cifra fosse compresa, già a quell’epoca, anche la fetta della piana compresa tra i torrenti Pulsano e Varcaro.
Manfredonia espresse tutta la sua contrarietà al decreto Vivenzio, quando questo era ancora nel suo processo di gestazione. In primo luogo invocò una decisione del sacro Consiglio del 1747, con la quale, a suo dire, «fu deciso che la Città di Manfredonia si fosse mantenuta nel possesso di detta confinazione», che comprendeva la piana di Macchia fino a Varcaro e al Macerone. Ma disse anche dell’altro, che va sottolineato per la singolarità delle sue affermazioni: «E pure l’Ingegnieri [Pollio e Porpora] dimentichi della loro commissione, che non era di decidere cause, ma di apprezzare territori e del rispetto dovuto al S.C e alla R.C. si erano ingannati. Ma poi rientrando in loro medesimi, in più luoghi della loro relazione dicono: “Dipendendo la decisione di questo punto di controversia assolutamente da ciò, che si rileva da’ documenti, e niente affatto dalla ispezione oculare, è cosa dunque che tutto si appartiene al savio giudizio di V.I., e non già ad altri”».
Secondo Manfredonia, «questo parere degl’Ingegnieri, dichiarato da essi medesimi di nessunissimo vigore», sarebbe stato sufficiente, però, a ringalluzzire Monte Sant’Angelo, fino al punto di spingerlo a compiere atti criminosi contro i manfredoniani che pascolavano in quella zona. Questo è tutto sul decreto Vivenzio del 1801, nulla di più. A fare ricorso ci avrebbero pensato gli altri!
L’autore
Michele Tranasi è autore di importanti ricerche sulla proprietà terriera di questi ultimi due secoli. Particolare rilievo hanno nella storiografia contemporanea i suoi lavori sul demanio e sul colonato di Monte Sant’Angelo, in provincia di Capitanata, e le ampie indagini su vari aspetti della storia di quel paese e della zona.
Saggista e polemista, collabora a diversi giornali e riviste: l’Avvenire, La Gazzetta del Mezzogiorno, l’Attacco, il Gargano Nuovo, ecc.
E’ iscritto al n. 32 dell’Elenco degli istruttori demaniali della Regione Puglia.
È socio della Sociètà di Storia Patria per la Puglia.
Pubblicazioni
1) Dalla Proprietà Comune alla Proprietà Privata – Monte Sant’Angelo 1806-1860, Leone Editrice – Foggia, 1994.
2) La Nascita della Proprietà Privata – Monte Sant’Angelo 1861-2001, Leone Editrice – Foggia, 2002.
3) La Comune di Parigi e la Scuola, Libo Grafica – Mattinata, 2012.
4) Lettura di Uomo e Superuomo, Libo Grafica – Mattinata, 2012.
5) Monte Sant’Angelo negli ultimi due secoli, Bastogi Libri – Roma, 2013.
6) Dal cardinale Fabrizio Ruffo a Francesco Paolo Troiano, Ed. Giuseppe Laterza – Bari 2016.

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