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Manfredonia. InCoro, il teatro contagia la città (FOTO)

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
14 Maggio 2018
Spettacoli //

Manfredonia. Il giorno 12 Maggio scorso presso il Castello svevo-angioino-aragonese di Manfredonia, alle ore 19:30 circa, ha avuto luogo lo spettacolo finale del laboratorio teatrale “InCoro“, promosso da Bottega degli Apocrifi.
Il fil rouge è stata la “Canzone degli F.P. e degli I.M.” di Elsa Morante, dove per F.P. si intendono i Felici Pochi e per I.M. gli Infelici Molti.
Il titolo del progetto rievoca la dimensione corale dell’iniziativa. Infatti lo scopo è stato quello di far coesistere in un unico luogo e in un unico “happening”, così come è stato definito durante il laboratorio dal regista Cosimo Severo, il lavoro dei bambini del Coro della scuola Croce-Mozzillo di Manfredonia, dell’Orchestra dei Felici Pochi e degli adolescenti del laboratorio “Teatro diffuso” di Manfredonia e San Giovanni Rotondo, guidati rispettivamente da Fabio Trimigno, Cosimo Severo, Stefania Marrone, Filomena Ferri e Luca Pompilio a Manfredonia, mentre da Christian Palladino e Rosa Merlino nel territorio di San Giovanni Rotondo.
Se volessimo utilizzare un’espressione metaforica per descrivere lo spettacolo, la parola che forse meglio si addirrebbe, sarebbe “nomade-migrante”. Infatti “InCoro” si è articolato in tre luoghi diversi del Castello.
Nelle prime scene, con l’ausilio delle chitarre che intonavano “L’inno alla Gioia” di Beethoven, si è accolto il pubblico, accorso numeroso, all’ingresso e si è introdotta la vicenda con una domanda emblematica, in medias res:”Che significa F.P.?”
Poco dopo la scena si è spostata su una torre del Castello. I ragazzi del “Teatro Diffuso” hanno invitato il pubblico a seguirli.
Qui tutti insieme abbiamo guardato le stelle, mentre l’attore Salvatore Marci recitava una poesia di Majakovskij intitolata:”Ascoltate!”. Sulla torre è stato possibile comprendere meglio, grazie alla voce dell’attrice Raffaella Giancipoli, che ha elencato alcuni nomi, chi sono in realtà i Felici Pochi.
I Felici Pochi sono coloro che “non si lasciano babbare, né mammare”, coloro che sono anche pronti a morire, pur di difendere un ideale.
La terza e ultima scena si è svolta invece nella Piazza d’Armi del Castello.
Ad accogliere il pubblico e ad invitarlo ad accomodarsi, il suono di un sassofono e subito dopo il Coro dei bambini delle scuole Croce-Mozzillo, guidati dal Maestro Fabio Trimigno, che ci hanno fatto comprendere che nonostante “La canzone degli F.P. e degli I.M.”, contenuta nella raccolta “Il mondo salvato dai ragazzini”, sia stata pubblicata nel 1968, in realtà è ancora attuale e che “l’era atomica” non è mai terminata.
La Canzone si è conclusa con la voce dell’insegnante Rosa Porcu che ci ha invitato a “scavalcare tutti insieme i tempi brutti in un allegro finale per essere felici tutti” perché “forse il primo segreto essenziale della felicità si potrebbe ancora ritrovare. L’importante sarebbe di rimettersi a cercare”.
Infine è stata la volta dell’Orchestra dei Felici Pochi, guidata anch’essa dal Maestro Fabio Trimigno, a deliziare il pubblico.
L’elemento essenziale che è stato possibile percepire è stata l’interazione creatasi con gli spettatori, che non erano più tali, ma anche loro veri e propri protagonisti della vicenda. Diversi sono stati infatti i momenti in cui si è invitato il pubblico a collaborare, ad esempio nel momento in cui ci si spostava da un luogo all’altro del Castello, oppure mentre si invitava a guardare le stelle, seppure fosse ancora giorno, o ancora quando si è “insegnato” a ballare o a cantare insieme.
La “Canzone degli F.P. e degli I.M. si scaglia in una vera e propria invettiva contro la guerra e la stupidità e ci insegna a non chiudere gli occhi, a non diventare ciechi o sordi spettatori, ma protagonisti capaci di approfittare di ogni occasione.
Trovo la scelta di rappresentare questa Canzone nel Castello un modo per unire arte e cultura, per invitare i manfredoniani ad apprezzare le loro bellezze architettoniche e per ridare voce, colore e personalità ai nostri beni culturali.
La speranza che nutro è quella che ognuno custodisca almeno una frase della Canzone di Elsa Morante, o per lo meno che cominci a vivere secondo una prospettiva diversa, più consapevole la vita, abbandonando l’indifferenza e il puro e semplice “divertissiment” pascaliano, che non fa altro che stordirci e renderci facilmente manipolabili.
Angela la Torre,
Manfredonia 14 maggio 2018
fotogallery Nicola La Torre

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