Manfredonia. L’uomo che entrò dall’uscio della porta non era alto,non era grosso,non aveva grandi spalle né grandi piedi,aveva un cappello bianco molto largo che gli copriva parte del volto,e la giacca bianca troppo lunga per lui che sembrava averla presa in prestito per l’occasione, gli nascondeva un corpo minuto e magro;così mi apparve quando fra i singhiozzi di mia madre e gli urli di gioia dei miei fratellini pensai bene di scomparire fra le sottane della zia Angiolina che rimase impietrita a guardare questa giovane famiglia che si ricomponeva ai suoi occhi.
Cinque bambini erano il tesoro che quell’uomo,un ufficiale medico della MARINA ITALIANA,si riprendeva dopo che la guerra,una guerra che, come altre guerre, aveva tentato di sottrarlo a loro: fu il ritorno e l’inizio di una lunga e laboriosa vita spesa tutta a servizio della gente,quella precedente era stata spesa a servizio della Patria.
Due erano le parole che facevano spuntare le lacrime negli occhi di quell’uomo dal grande cappello bianco:PATRIA E MADRE.
Sua madre Luigina ,amatissima e stimatissima ostetrica che aveva anche lei profuso nella nostra città assistenza,professionalità ed officiato battesimi velocissimi quando il neonato mostrava i segni inequivocabili di una morte prematura ed ingiusta,era stata la sua maestra di vita ed influenzato la scelta professionale,una dedizione totale alla professione medica,giorno e notte,nella nostra città,si partoriva in casa e l’assistenza era totale,la mortalità neonatale faceva i conti con un medico capace,preparato,determinato a non mollare il paziente,uomo,donna ,anziano,bambino,un medico che la dotta Bologna aveva forgiato per una professione rivelatasi preziosa ed indimenticabile per tutti.
Anni dopo con un gruppo di medici diede alla nostra città la prima struttura organizzata per assistenza sanitaria,una Clinica denominata S. Maria di Siponto la quale venne chiusa col nascere dell’attuale presidio ospedaliero Ospedale S. Camillo de Lellis.Tutto questo è nella memoria popolare indelebilmente.
La generazione oggi che è adulta ha avuto la sua nascita in quella clinica nelle abili mani di quei medici pionieri di una medicina organizzata,presidio di cura e assistenza umana ineguagliabile,il numero delle nascite era elevatissimo,e le diagnosi tempestive potevano avvalersi della Casa di Cura di S.Giovanni Rotondo.
Ma quell’uomo dal cappello bianco aveva tempo anche per la musica,suonava gli strumenti a percussione,mandolino,chitarra,pianoforte,aveva un orecchio speciale come i suoi parenti musicisti con cui soleva incontrarsi per fare il concertino,man mano che crescevo lo ammiravo sempre di più,era versatile,pieno di buon umore,la battuta pronta e lo spirito giusto per il Carnevale,anche se poi correva al capezzale di un moribondo scordandosi di togliersi il trucco da clown. Egli era devoto alla Madonna di Siponto che considerava sua madre e tutti noi figli uniti nella sua devozione frequentavamo la messa domenicale aspettando che al pranzo si aprisse il commento al passo del Vangelo,mi ricordo che mai ombra di noia coglieva alcuno di noi e che l’ospite della Domenica al pranzo, chiunque egli fosse, era sempre il benvenuto,inevitabilmente però era ascoltatore di aneddoti della guerra che lui aveva vissuto e che mai dimenticava ringraziando il Signore per essere tornato a casa.
Purtroppo il prezzo pagato per la guerra era stato molto più alto perché suo fratello Rodolfo non tornò e fu dato disperso; egli si era arruolato fra i partigiani lasciando la Università di Napoli per andare a difendere il confine in Istria,per questo dolore sua madre ne morì mentre egli non smise di cercarne il corpo senza alcun risultato.
Vivere accanto ad un uomo dalle doti molteplici,dal profondo senso del vivere con la gente e fra la gente,che rientrava a casa nel primo pomeriggio con gli abiti intrisi di fumo,c’erano ancora le cucine a legna,di odore di pesce fritto,ma soprattutto intriso di umanità,di racconti e storie umane in cui il caso di una nascita difficile si alternava a quello di una estrema unzione ad un ammalato o ad un anziano;egli raccontava senza risparmio di parole né timore di turbare i bambini ,poi adolescenti,con descrizioni attraverso le quali la vita,il dolore,la passione per il suo lavoro,ci prendevano tanto che ognuno di noi voleva essere come lui,somigliargli,valere quanto lui; la gente,il prossimo,erano la vita,la sua vita che si aggiungeva alla nostra e si fondeva con essa. Tutte le scelte di vita di noi figli sono state tese ad emularlo.
Oggi raccolgo i documenti che attestano la sua vita durante la guerra,gli encomi,i riconoscimenti ,le croci al merito,tutto questo che oggi è carta racchiude il valore,il coraggio,l’amore,il dovere per una terra,la vostra e la mia terra,questa dei miei figli e nipoti ,e pronipote,la terra che oggi i giovani stentano a chiamare Patria, la terra oggi libera per noi,per voi e per le generazioni future,la terra che non vuole perdere la sua identità,che può dare e donarsi,ma che rimane ferma nella mia memoria nel ricordo delle lacrime trattenute,ferme fra le ciglia di quell’uomo che sedette a tavola nel 1946 con i suoi figli e la bellissima moglie , che chinando il capo con un sospiro gridò: grazie Signore!
Quell’uomo era mio padre.
A cura di Vittoria Di Salvia,
Manfredonia 09.05.2018
Complimenti Vittoria, non potevi descrivere meglio tuo padre ed il tuo affetto per lui e tutta la famiglia.
Grazie Vittoria, mi hai commosso. Mi auguro che la leggano i giovani d’oggi, per farne tesoro