(ANSA) – BARI, 7 MAG – La Puglia conquista tre nuove località (Rodi Garganico, Peschici e Zapponeta) e raggiunge 14 bandiere blu: è quanto emerge dall’ultimo report sulle spiagge da sogno in Italia. In questa 32/a edizione di consegna delle bandiere blu la sorpresa è la Campania, che scalza le Marche e si piazza al terzo posto dopo Liguria e Toscana per numero di Comuni premiati dalla Fondazione per l’educazione ambientale (Foundation for Environmental Education – Fee). Non solo qualità del mare ma anche gestione del territorio, impianti di depurazione, gestione dei rifiuti, vivibilità in estate, valorizzazione delle aree naturalistiche sono fra i 32 criteri da rispettare del Programma della Fondazione.
In totale quest’anno la Liguria mantiene il vessillo in 27 Comuni e la Toscana negli stessi 19 dell’anno scorso. La sorpresa è stata la Campania che con tre nuovi ingressi (Piano di Sorrento, Sorrento e Ispani) ha sorpassato le Marche che perdendo la bandiera a Gabicce mare scivola al quarto posto con 16 Comuni fregiati.
AL COMUNE DI MANFREDONIA VISTO LO STATO DELLA SPIAGGIA CASTELLO ” IL PREMIO MONNEZZA.” MENO MALE CHE A PROVVEDERE CI SARANNO I VARI GESTORI DI STABILIMENTI BALNEARI.
LA GRANDE BUFALA DELLE BANDIERE BLU
Quest’anno sono stati assegnati 293 vessilli blu. Più dell’anno scorso. Ma secondo Legambiente, la balneabilità delle acque non è un criterio che garantisce la qualità ambientale del mare. «Altrimenti l’acqua cristallina di Ustica è come quella di Jesolo»
di Lidia Baratta
17 Maggio 2016 – 16:53
Al lido di Policoro, in Basilicata, da qualche giorno sventola la bandiera blu. A pochi chilometri da lì, l’impianto nucleare Itrec di Trisaia scarica in mare gli effluenti liquidi radioattivi trattati. Più a Nord, le acque alla foce del canale Bufaloria nell’ultima analisi di Goletta Verde di Legambiente hanno ricevuto il giudizio peggiore: «fortemente inquinate». Eppure il vessillo blu campeggia in primo piano sul sito del comune di Policoro. Certo, bisogna precisare – perché a volte qualcuno fa il furbo – che la bandiera blu non viene assegnata all’intero comune: la ong danese Foundation for Environment Education (Fee) dà il riconoscimento solo a tratti di litorale. Ma, se si vanno a guardare i criteri con cui i vessilli vengono assegnati ogni anno, si vede che la questione ambientale non è il principale requisito richiesto.
Policoro è una delle sette new entry nell’elenco delle bandiere blu assegnate per il 2016 all’Italia dalla Fee: 293 in tutto, di cui 152 comuni rivieraschi, cinque in più del 2015. Il mare nostrano, insomma, sembrerebbe più pulito. Ma come? Le ultime analisi di Goletta Verde, su 266 campioni di acqua analizzati, avevano trovato cariche batteriche superiori ai limiti imposti dalla normativa nel 45% dei casi. Per ogni chilometro di costa sono state registrate due infrazioni. E la stessa Ispra, sui cui dati si basa l’assegnazione delle bandiere blu, ha diffuso dati allarmanti sulla salute di fiumi e laghi, registrando un aumento del 20% della presenza di pesticidi. Eppure di anno in anno il numero di bandiere blu cresce. Quest’anno sono 293, nel 2012 erano 246.
La Liguria, come succede ormai da diversi anni, è in testa con 25 spiagge premiate. A seguire Toscana e Marche. I vessilli sono concentrati soprattutto nel mar Ligure e lungo l’alto e medio Adriatico. La Puglia ne ha solo 11, la Sardegna dieci, la Sicilia sei, la Calabria cinque. Regioni, che in quanto a mare e spiagge, forse (non sempre), non hanno bisogno di bollini di riconoscimento. Ma c’è anche qualche motivo in più. Anzitutto i comuni devono candidarsi a ricevere la bandiera blu, e non tutti lo fanno. Poi, tra i requisiti richiesti per ottenere il prestigioso vessillo, l’acqua cristallina non è un imperativo categorico. Tutt’altro.
I criteri di assegnazione delle bandiere blu non rendono giustizia della qualità ambientale di un territorio. È come se entrassimo in un ristorante e valutassimo solo la qualità del servizio, le tovaglie e le posate, ma senza valutare la qualità del cibo
Al primo posto, tra i requisiti richiesti, ci sono i progetti di educazione ambientale, seguiti dalla qualità delle acque di balneazione (solo le località le cui acque sono risultate eccellenti nella stagione precedente possono presentare la candidatura), la gestione ambientale (che prevede anche la presenza di spogliatoi e bagni) e i servizi (dal primo soccorso ai servizi per disabili). Criteri che finiscono per privilegiare non tanto le migliori spiagge dal punto di vista della qualità ambientale, quanto i luoghi con i migliori ombrelloni e lettini. Purché ci si possa fare il bagno e l’acqua sia balneabile, con concentrazioni batteriche nella norma. Così, per esempio, la bandiera blu si trova pure a Varazze, dove i palazzoni arrivano vicino alle spiagge (e non è raro trovare il mare cosparso di chiazze marroni appena il mare si agita un po’). E c’è anche Porto San Giorgio, Fermo, dove alla foce del torrente Valloscura Legambiente l’anno scorso ha trovato acqua «fortemente inquinata». La stessa Liguria, tra l’altro, prima in classifica per numero di bandiere blu, è anche maglia nera per numero di reati ambientali legati all’abusivismo edilizio. Qualcosa non torna.
«I criteri di assegnazione delle bandiere blu non rendono giustizia della qualità ambientale di un territorio», dice Sebastiano Venneri di Legambiente. «È come se entrassimo in un ristorante e valutassimo solo la qualità del servizio, le tovaglie e le posate, ma senza valutare la qualità del cibo». E in questo caso il cibo è il mare. Per assegnare le bandiere blu e valutare la qualità delle acque di balneazione, si usano le analisi delle acque del ministero della Salute, fatte dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. «Un parametro», dice Venneri, «che non dice nulla sulla qualità ambientale del mare. Non vuol dire che sia rispettata la qualità ambientale solo perché il mare rientra negli standard sanitari».
Senza dimenticare che «le agenzie regionali non seguono standard univoci nell’analisi delle acque», ricorda Giorgio Santoriello, membro dell’associazione ambientalista lucana Cova contro, che da anni conduce indagini ambientali in Basilicata. «E pochissime Arpa in Italia oggi cercano anche metalli pesanti e radioattività». Non solo. Le analisi spesso non vengono fatte alle foci dei fiumi, che sono le zone più inquinate, come testimoniano le procedure di infrazione aperte dall’Unione europea. Una conseguenza diretta della mancanza di un trattamento di depurazione adeguato, che ancora riguarda il 42% degli scarichi fognari del nostro Paese.
Così, dice Venneri, con le analisi effettuate lungo le coste e «usando la balneabilità come criterio, Jesolo e Pantelleria sono messi sullo stesso piano. È come se una persona è bella solo perché ha gli occhi azzurri. E quindi tutti quelli con gli occhi azzurri sono belli. Non è così. I dati sulla balneazione non sono un’assicurazione di qualità ambientale: altrimenti l’acqua trasparente e cristallina di Ustica, che non è bandiera blu, è tanto balneabile quanto quella torbida di Jesolo, che invece la bandiera l’ha avuta».
I dati sulla balneazione non sono un’assicurazione di qualità ambientale: altrimenti l’acqua trasparente e cristallina di Ustica, che non è bandiera blu, è tanto balneabile quanto quella torbida di Jesolo, che invece la bandiera l’ha avuta
Non solo. Una volta stabilita la balneabilità delle acque, a contare per l’assegnazione delle bandiere blu sono soprattutto i servizi e la gestione delle questioni ambientali da parte delle amministrazioni. Bagnini, accesso per cani e spogliatoi danno da uno a due punti. I livelli di raccolta differenziata possono valere fino a venti punti. Mentre la presenza di componenti biotiche di particolare rilevanza ecologica assegna solo un punto. «E così da anni ci troviamo in testa nella classifica regioni come Liguria e Marche, dove i servizi sono più efficienti ma la qualità ambientale è più degradata. Con forti costruzioni sulla costa e aggressione del paesaggio», dice Venneri. «L’Adriatico, per esempio, è un mare asfittico dal punto di vista ambientale, ma il bagno me lo posso fare tranquillamente». Ed è qui, con le spiagge ben fornite di lettini, ombrelloni e cabine che si concentra gran parte delle bandiere blu.
Una consuetudine per i comuni costieri che, mantenendo gli standard richiesti dalla Fee, negli anni si sono garantiti le bandiere blu, ottimo strumento di marketing e promozione turistica. Non senza qualche distorsione. Ad esempio, fino al 2008, la normativa vigente prevedeva che le località che per due anni di fila erano risultate molto pulite potessero dimezzare il numero di campionamenti. Il provvedimento però non veniva riconosciuto dalla Fee, per cui per anni le località più pulite d’Italia sono state escluse dalle bandiere blu. Tanto che ci furono alcuni comuni che si autotassarono per fare le analisi aggiuntive. «La consolidata frequentazione ha creato così una geografia delle bandiere blu che si ritrova anche adesso», spiega Venneri, «e che esclude ad esempio buona parte della Sardegna».
Per tre anni, fino al 1996, anche Legambiente ha collaborato con la Fee per l’assegnazione delle bandiere blu. Poi si è fatta la sua Guida Blu con il Touring Club italiano. E alla fine anche per le spiagge funziona come con i ristoranti. Guida che vai, giudizio che trovi. C’è chi dà i cappelli, chi le stelle. Chi dà la bandiera blu, chi le vele. A seconda dei punti di vista.