Roma/Bari/Manfredonia. ”Nel caso di specie, la Corte di Bari (..) si è limitata ad evidenziare come, a fronte delle dichiarazioni accusatorie di altri soggetti, l’indagato si fosse limitato a mantenere il silenzio nel corso dell’interrogatorio di garanzia ed in generale un comportamento non collaborativo, senza accertare quali circostanze a sé favorevoli e solo a lui note avrebbe potuto esporre nell’esercizio del diritto di difesa”.
Con sentenza di recente pubblicazione, la 4^ Sez. Penale della Corte di Cassazione di Roma (Presidente Francesco Maria Ciampi, relatore Carla Menichetti, udienza del 14.03.2018) ha accolto il ricorso presentato dalla difesa di C.P., classe 1992 di Manfredonia, contro un’ordinanza del giugno 2017 della Corte di Appello di Bari con la quale era stata rigettata “l’istanza di riparazione” presentata dal citato ricorrente per “la dedotta ingiusta detenzione sofferta dapprima con la custodia in carcere e successivamente in regime di arresti domiciliari, nell’ambito di un procedimento penale in cui risultava imputato del reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente, dal quale era stato assolto in appello per insussistenza del fatto“.
“In detta ordinanza – osserva la Cassazione – la Corte territoriale riteneva che il richiedente avesse, con il
proprio comportamento e atteggiamento gravemente colposo, concorso a dare causa alla misura cautelare de qua e ravvisava, pertanto, grave colpa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art.314 c.p.p., e ciò a ragione costituito del silenzio o comunque dall’atteggiamento non collaborativo tenuto durante l’interrogatorio di garanzia”.
Annullando la citata ordinanza della Corte di Appello, la Cassazione ha rinviato “per nuovo esame” alla Corte d’Appello di Bari.